English original
I Saturnali al tempo di Nerone
Roma, 17 dicembre, 62 dopo Cristo. Nerone è a capo dell’impero romano. Il filosofo Seneca scrive una lettera (n. 18) all’amico Lucilio:
December est mensis
(E’ il mese di dicembre)
cum maxime civitas sudat.
(quando la vita è più intensa che mai in città.)
Ius luxuriae publice datum est;
(Il diritto all’eccesso è stato ufficialmente proclamato;)
ingenti apparatu sonant omnia […]
(ogni angolo risuona dei chiassosi preparativi […])
L’inizio della festa più amata a Roma e nel resto dell’impero, i Saturnalia, è stato ufficialmente proclamato. L’eccitazione cresce ovunque.
Il filosofo, tranquillamente seduto nel suo elegante tablinum, riflette su ciò che lui e il suo amico dovrebbero fare, se cioè partecipare o meno alla gioia dei banchetti.
Si te hic haberetur,
(Se ti avessi qui)
libenter tecum conferrem quid estimare esse faciendum […]
(sarei felice di consultarti su ciò che sia opportuno fare […])
utrum nihil ex cotidiana consuetudine movendum,
(se lasciare immutate le nostre quotidiane abitudini,)
an, ne dissidere videremur cum publicis moribus,
(o, per non sembrare fuori sintonia con i costumi della gente,)
et hilarius cenandum et exuendam togam
(se anche noi dobbiamo banchettare allegramente e toglierci la toga)
Modalità del rito
Il sacrificio ufficiale – che si celebra nel tempio di Saturno, sul lato occidentale del foro – è probabilmente terminato. Sarà seguito a breve da un banchetto nello stesso tempio durante il quale i partecipanti grideranno il saluto augurale: Io Saturnalia! (che ricorda i nostri brindisi di Capodanno) e dove la celebrazione presto si trasformerà in una festa accesa e caotica.
Una (vaga) idea della cerimonia può esserci fornita da un testo rituale scritto da un neo-pagano ricostruzionista, Apollonius Sophistes [vedi il sito Biblioteca Arcana].
L’obiettivo di Apollonius è quello di far rivivere il rito nella vita reale.
ψ
Mario: “Celebrare il rito oggi?? Ma è fuori di testa questa gente?”
Extropian: “Forse, anche se cercare di rivivere forme di paganesimo con un minimo di accuratezza storica è sempre meglio dei pastrocchi alla Wicca. Il che, in un caso o nell’altro, non fa per me”.
Banchetti nelle case e doni
L’euforia pervade la città. I banchetti nelle abitazioni private saranno sregolati, come succede ogni anno. Ci si appresta agli ultimi ritocchi a piatti elaborati, biscotti, doni, alla disposizione di candele (cerei) che simboleggiano la rinascita del sole; si preparano pupazzi di pasta (sigillaria) e si finisce di organizzare spettacoli, danze e musiche, tra cui una scelta di canti non di rado scurrili ed altri di tono più elevato, spirituale.
Brevi testi, proprio come i bigliettini dei nostri regali, accompagnano i doni. Il poeta Marziale, che ne ha composti diversi nei suoi epigrammi, ci dà informazioni sul tipo di regali scambiati:
“Tavolette per scrivere, dadi, aliossi [un gioco con ossicini ormai in disuso, ndr], salvadanai, pettini, stuzzicadenti, cappelli, coltelli da caccia, scuri, lampade di vario genere, biglie, profumi, pipe, maiali, salsicce, pappagalli, tavoli, tazze, cucchiai, capi di abbigliamento, statue, maschere, libri, animali domestici”.
[elenco tratto dalla Wiki inglese]
Licenza degli schiavi,
vesti e formulazione di desideri
Agli schiavi sarà permesso ogni tipo di licenza (o quasi). Un maestro della festa o ‘re del disordine’ impersonerà il gioviale Saturno con la barba che, scelto a sorte nelle case, orchestrerà il divertimento (personaggio simile al nostro Babbo Natale).
[Un Lord of Misrule è figura comune del Natale britannico nel medioevo, con ruolo quasi identico, così come il Pape des Sots o des Fous in Francia]
Scrive lo storico americano Gordon J. Laing (Survivals of Roman Religion):
Gli schiavi dei Saturnali romani erano “autorizzati a trattare i loro padroni come fossero loro pari. Spesso infatti padroni e schiavi si scambiavano i ruoli e questi ultimi venivano serviti dai primi […] Un ‘re’ scelto a sorte ordinava a un ‘suddito’ di ballare, a un altro di cantare, a un altro ancora di portare sulle spalle una flautista e così via. Con tale gioco i romani ridicolizzavano la regalità”.
L’assiro Luciano di Samosata scrive nei suoi Saturnalia (un dialogo satirico del II secolo d.C. che si svolge tra Kronos–Saturno e il suo sacerdote)
“Durante la mia settimana [è Crono che parla, ndr] la serietà è bandita; ogni commercio e attività sono proibite. Il bere, il chiasso, i giochi e i dadi, la scelta dei re e la gioia degli schiavi che cantano nudi, il battito frenetico delle mani e i visi con la bocca tappata che vengono tuffati nell’acqua gelida: sono queste le funzioni a cui presiedo […] questo il periodo di festa, quando è lecito ubriacarsi e gli schiavi hanno licenza di insultare i loro padroni”.
Come alla vigilia del moderno Capodanno, è il momento di esprimere i desideri per l’anno a venire. Dice Crono al suo sacerdote:
Crono: “Volgi il pensiero a ciò che mi vuoi chiedere […] farò del mio meglio per non deluderti”.
Sacerdote: “Nessuna originalità in proposito. Le solite cose, per favore: ricchezza, abbondanza d’oro, proprietà di terre, folle di servi, gaie e morbide vesti, argento, avorio, in realtà tutto ciò che è di un qualche valore. O migliore dei Croni, dammi un po’ di queste cose!”.
Come si vestiva la gente? In modi che suggerivano l’uguaglianza sociale. Seneca aveva infatti accennato al fatto di togliersi la toga, indumento solenne e d’alto ceto. Le gente ai banchetti indossava infatti la synthesis, un semplice vestito da cena, e il pileus, il berretto conico dei liberti, un cappello di feltro aderente simile al cappello frigio che non a caso in epoche successive diverrà l’icona della libertà nelle rivoluzioni francese e americana [il bonnet rouge dei sanculotti: vedi l’immagine sopra].
[per ulteriori informazioni (in inglese) sui Saturnalia: Lacus Curtius; un bell’articolo di Mary Beard e la ricca voce Saturnalia della Wikipedia inglese]
Intellettuali in conflitto
Di fronte a tanta frenesia lo stoico Seneca propende per la via intermedia (notate l’accenno alla folla ‘pilleata’, che indossa cioè i ‘pilei’):
Si te bene novi,
(Se ben ti conosco)
nec per omnia nos similes esse pilleatae turbae voluisses
(avresti desiderato che non fossimo né simili alla folla imberrettata)
nec per omnia dissimiles;
(né del tutto dissimili;)
licet enim sine luxuria agere festum diem
(è opportuno infatti partecipare alla festa senza eccessi.)
E’ comprensibile. L’intellettuale tende a comportarsi diversamente dall’uomo della strada, ed è spesso (ma non sempre) infastidito e un po’ blasé di fronte al trambusto della gente comune.
Durante le feste di dicembre che si svolgono a casa sua “Plinio il giovane – scrive Mary Beard nell’articolo citato – si rifugia altezzosamente nell’attico per continuare a lavorare (non vuole rovinare il divertimento dei servi – ma, forse ancor più, non vuole esporsi ai loro giochi ruvidi)”.
Il poeta Catullo invece adora i Saturnali (“il periodo più bello”) così come il poeta Stazio, che alla fine del I secolo d.C. esclama:
“Quanti anni ancora durerà questa festa! Mai il tempo cancellerà un così santo giorno! Finché esisteranno le colline del Lazio e il padre Tevere, finché la tua Roma rimarrà in piedi, e il Campidoglio, che hai restituito al mondo, i Saturnalia vivranno”.
[Silvae, I.6.98 e sgg.]
ψ
E infatti i Saturnali per molti aspetti sopravviveranno, come abbiamo visto e forse ancora vedremo.
ψ
Prima parte sui Saturnalia:
Sopravvivenza dei Saturnalia dell’antica Roma nel Natale, Capodanno e Carnevale (1)